«Gianni… Giannii… Gianniii…». – era Vito che stava dolcemente cercando di strappare dalle braccia di Morfeo il suo ragazzo.
«Buongiorno papà». – gli rispose prontamente Gioànn sorprendendolo con queste due semplici parole.
Vito, infatti, era abituato ad urlare il tris di Gianni, “in crescendo”, almeno una dozzina di volte per riuscire nell’intento di svegliarlo. Vederlo in piedi, vispo e reattivo già al primo tris, da sempre il meno convinto ed efficace, lo colse impreparato. Erano le sette del mattino e, con le scuole praticamente finite, risultava sorprendente per lui aver ricevuto la sera precedente la richiesta di chiamarlo a quell’ora. La spiegazione di questa, a prima vista, irragionevole richiesta era semplice: si trattava di mercoledì 17 giugno 1970 e, nel tardo pomeriggio dell’ora italiana, la nostra Nazionale avrebbe affrontato la Germania nella semifinale del Campionato del Mondo.
Tra i pochi ad avere speranza di successo c’erano i componenti del gruppo ristretto della cosiddetta Cumpagnìa: Roberto, alto, snello, biondo e di aspetto delicato detto Pàstina; Giorgio, con le sue movenze a scatti come un personaggio dei cartoni animati ed una voce semi stridula, per tutti era Paperino; Dario, l’unico che già lavorava come apprendista presso un laboratorio ottico sulla cui insegna troneggiava “Ottica Turconi” lo avevano battezzato Tùrch; Adelio, con i suoi modi composti ed il suo esprimersi garbato da vecchio insegnante, lo apostrofarono Pròff; Gianluigi, il più minuto e smilzo, non poteva essere che Titti; per ultimo Giovanni, pur essendo l’unico a non essere nato a Pavia ma addirittura nella lontanissima Sicilia, venne battezzato col suo nome tradotto nel più classico dialetto pavese, cioè Gioànn.
La sera precedente, come al solito tutti all’Oratorio S. Luigi a tirare l’ora di cena, sbocciò la sfiziosa idea di vedersi tutti sin dalle prime ore del mattino. Poco prima di separarsi e tornare alle rispettive abitazioni Pròff lanciò l’idea di non vedere in TV la semifinale all’Oratorio perché l’ambiente era fin troppo turbato dai soliti vecchi brontoloni saccenti, dai numerosi ragazzini disperati e, peggio ancora, dai noiosi seminaristi che non avrebbero concesso le benchè minime imprecazioni che l’avvenimento favoriva a bizzeffe. Propose di recarsi tutti presso l’osteria gestita da sua mamma che, guarda caso, aveva il giorno di chiusura proprio di mercoledì.
La concomitanza apparve subito come un ghiotto segno del destino. L’osteria Zamai si trovava al numero 5 di Via G. Vidari, nel cuore del quartiere di Porta Calcinara che sta fra il centro storico di Pavia e la riva sinistra del Ticino, tanto che in occasione si ogni piena era quasi sempre “a bagno” al pari di Borgo Basso. Si trattava di una tipica osteria d’altri tempi frequentata dall’alba a notte fonda da avventori affezionati che ben si conoscevano tra di loro e, seppur non avessero granchè di particolarmente nuovo da raccontarsi, parlottavano e litigavano tutto il giorno spaziando dallo sport alla politica, dalla finanza alle strategie di spicciola sopravvivenza. I tavoli erano di legno massiccio e immancabilmente ingombri di bicchieri e svariati “mezzolitro” di vino rigorosamente rosso dell’Oltrepò Pavese, le sedie robuste e ben impagliate, le tende sottili, leggere e di color crema pallido per lasciar penetrare la poca luce recuperabile dalle piccole finestre, spesso aperte per disperdere la cortina di fumo di fumo di sigaretta costantemente aleggiante nell’aria e le tovaglie, pur candide in ossequio all’igiene, erano stirate sommariamente perché, in quel tipo di ambiente, raramente si badava all’estetica.
Sempre la sera precedente, dopocena, la Cumpagnìa s’era ritrovata in Piazza Piccola sui gradini del Duomo e, ovviamente, l’argomento dominante fu l’organizzazione della giornata e della serata successiva.
«Domani la lunga giornata potrebbe essere noiosa quindi dobbiamo escogitare qualcosa di interessante per far passare il tempo prima della partita». – propose Titti.
«Potremmo andare in piscina». – esordì Gioànn – Sole, nuoto, tuffi e pranzo al sacco».
«Mà và là ! – replicò prontamente Pròff, che era sempre il più informato – Come sempre e come ogni anno, è pur vero che riempiono per tempo la piscina ma il permesso d’apertura non è ancora arrivato».
«Allora si va al Poligono, sullo spiaggione di ghiaia. Stesso programma della piscina ma la sostituiamo con il nostro splendido Canàl e, senza spendere nulla, siamo a posto. – sentenziò Pàstina come per chiudere la quiestione.
Sui gradini del Duomo la serata continuò con argomenti risaputi ma sempre ruotanti sulla partita dell’indomani.
«L’allenatore Valcareggi non vale il Vittorio Pozzo delle due vittorie dei Campionati del Mondo del ’34 e ‘38».
«Ci sarà ancora la staffetta fra Mazzola e Rivera?».
«Albertosi, il portiere, in fondo ha poca esperienza avendo giocato solo in provincia, nella Fiorentina e nel Cagliari. Per nostra disgrazia non è certamente all’altezza dei suoi colleghi della altre nazionali».
«Però è un temerario e con un cuore grande così!».
«Speriamo di fare più gol che nelle qualificazioni perché lo 0 a 0 con l’Uruguay, lo 0 a 0 con Israele ed il misero 1 a 0 con la Svezia sono ben poca cosa».
«Il modesto Messico, che abbiamo battuto nei quarti di finale per 4 a 0, non può certamente far testo».
Tutti argomenti dibattuti più volte che, in seguito all’accesso alle semifinali, erano tornati di estrema attualità in tutt’Italia. Tutto ciò venne trattato e discusso con sempre minor trasporto fra una puntatina e l’altra dei vari protagonisti nei templi, allora sacri, delle appetitosità pavesi. Da Magni, il lattaio di Via Bussolaro si andava a pigliare la parigina, economico gelato misto racchiuso fra due cialde tonde, sottili e fragranti; al Piccolo Bar di Via Teodolinda si trovava ancora la gazzosa con la biglia di vetro e si succhiava il frizzante contenuto con la stringa di liquerizia utilizzata come cannuccia; nella Bottiglieria di Piazza Cavagneria c’era la speranza di trovare sottocosto una delle pesche dolci avanzate alla fine della giornata dalla panetteria adiacente e, come d’abitudine, ritirate a prezzo di stock (per chi non lo sapesse la pesca dolce era una coppia di mezze sfere di pandispagna, inzuppate di sciroppo rosso, unite da un sottile strato di marmellata).
La serata, per buona parte stiracchiata e noiosa, ebbe un’imprevista impennata di interesse quando Paperino, con aria ispirata, uscì con un’idea geniale.
«Potrei farmi prestare da mio zio la sua balansa, quella piccola con la palìna lunga e la rete a maglie strette. Appena più a monte del Poligono ci sono numerose lanchette temporanee che si sono formate nei giorni scorsi quando il Ticino cominciò a calare e mi è stato detto che sono piene zeppe di alborelle guizzanti. Sarà un gioco da ragazzi recuperarne un buon quantitativo che la mamma di Pròff, speriamo, nel corso della partita ci vorrà friggere come lei sola sa fare. Ho già l’acquolina in bocca!».
«Magnifica idea, dobbiamo cominciare ad organizzarci, ognuno porterà il suo cestino per i pesciolini rubati al fiume e qualche michetta secca da sbriciolare come pastura». – sentenziò Tùrch che, pur essendo impegnato col suo lavoro e quindi impossibilitato ad essere presente, era il più esperto pescatore e l’unico ad avere la licenza di pesca.
«Sarà il caso di cominciare a fare la colletta per le bibite. – puntualizzò Proff – Anche se un goccio di vino lo offrirà “la casa”, il resto si paga. Con mia mamma c’è poco da scherzare».
«Visto che sarò l’unico assente alla battuta di pesca porterò alla cuoca un mazzo di rose del giardino di mio padre ed anche una bottiglia di Brùt per i festeggiamenti finali». – si impegnò Tùrch, come sempre ottimista ad oltranza.
«La giornata passerà in un battibaleno. – gongolò Paperino, visibilmente compiaciuto, che aggiunse – Avendo a disposizione così tanto tempo faremo una strage di alborelle».
«Si ma … tu Pròff dovrai arruffianarti ben bene tua mamma e convincerla a pulire tutte le alborelle che cattureremo. Insomma, dovrai predisporla alla faticaccia che le toccherà». – si intromise Pàstina.
«A questo proposito credo che dovremo lasciare le sponde del Ticino al massimo un paio d’ore prima dell’inizio della partita per consegnare per tempo il pescato alla cuoca, scappare a casa per una bella lavata e ritrovarci puntuali davanti alla TV. Chi arriva prima dà una mano per la pulitura delle alborelle». – consigliò Titti.
***
«Devi perdonare la mia curiosità. Da quando sei in piedi non hai fatto altro che agitarti. Cosa ti sta succedendo?» – chiese Vito a suo figlio.
«Hai ragione. Ho i minuti contati, ma ti metto rapidamente al corrente.» – e così, molto sommariamente, Gioànn rese edotto il padre su quanto la Cumpagnìa aveva organizzato.
«Incredibile! – esclamò Vito al termine del resoconto – Pensa che è dal 3 giugno, il giorno prima della partita dell’Italia contro la Svezia, che i fratelli Maestri, miei amici falegnami di Via Rezia, trascorrono ogni fine giornata a pescare alborelle che poi friggono, mettono in carpione e conservano in vasetti con la convinzione di mangiarceli assieme a cominciare dalla semifinale con l’ Italia protagonista. Ora queste prelibatezze sono custodite nella latteria Da Giovanni, in Via Cardano e stasera ce le gusteremo insieme a quelle che verranno fritte all’ultimo momento».
Domenica 10/10/10, trascorsi quattro decenni e, guarda caso il giorno dell’inaugurazione del Sodalizio dei Cavlieri della Zuppa alla Pavese e dell’Alborella, Gianni Giudice, il Gioànn protagonista di questo racconto, ha ripensato alle parole di suo padre.
Ormai non è neppure lecito pensare di gustare l’incomparabile fragranza dell’Alburnus Alburnus (così la classificò Linneo nel 1758) nella qualità e benchè meno nella quantità di quel lontano giorno. Nel fortunatamente ancora ceruleo Ticino, negli stagni e nei fossi della nostra bella e umida provincia è diventata specie rarissima e l’unica alternativa possibile è accontentarsi di acquistarla surgerlata, magari proveniente dal Cile e lavorare di fantasia sui ricordi del passato.