IL RISO E IL GRANO sono i veri artefici della nascita di gran parte delle civiltà del Vecchio Mondo; ancora oggi la sopravvivenza alimentare dei popoli del sud est asiatico (ma non solo…) è basata su questo cereale: infatti circa il 60% del cibo di questa parte del mondo è rappresentata proprio dal riso; nel 2003 la produzione mondiale di riso ha raggiunto 585 milioni di tonnellate.
Il riso (Oryza sativa) è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Graminacee, di origine asiatica. Insieme alla specie africana, Oryza glaberrima, è una delle due specie da cui si produce il riso. L’Oryza sativa costituisce la stragrande maggioranza in quanto coltivata su circa il 95% della superficie mondiale di riso.
Esistono 3 sottospecie di questo cereale:
- O. s. indica, tipica dei climi tropicali, alto valore di mercato, cariosside lunga e sottile, produttività media e coltivata in India, Cina Meridionale, Filippine, USA meridionale, Italia;
- O. s. japonica, tipica dei climi temperati, produttività alta, cariosside corta e arrotondata, basso valore di mercato, coltivata in Giappone, Corea, Cina settentrionale, Brasile, USA, Egitto, Italia;
- O. s. javanica, di minore importanza.
O. s. japonica è la sottospecie maggiormente coltivata in Italia dove è usata soprattutto per i risotti.
In nord America è presente il genere Zizania, affine ad Oryza, cui appartiene la specie Z. palustris, o “riso selvatico del Nord” tipica delle zone dell’estremo Nord degli Stati Uniti e delle regione Centrali e meridionali del Canada (Alberta, Saskatchewan e Manitoba). Chiamato manomin dai Nativi americani è da loro raccolto da sempre muovendosi in canoa lungo le rive di fiumi e zone paludose. Gli steli sono riuniti in piccoli fasci e piegati all’interno dell’imbarcazione per poterne raccogliere direttamente i semi tramite la battitura delle spighe secondo antiche regole tribali tuttora in vigore. Per evitare un sovrasfruttamento di questa preziosa risorsa, una parte dei semi è lasciata cadere in acqua per favorire la nascita di nuove piantine. Gran parte di questo prodotto proviene tuttora dalle popolazioni selvatiche, anche se tentativi di coltivazione in risaia sono in atto in Canada, negli USA e anche in Camargue e Ungheria.
Le origini del riso
Nessuno è mai riuscito a stabilire le origini del riso. È probabile che le varietà più antiche siano comparse oltre 12000 anni fa lungo le pendici dell’Himalaya nella Cina meridionale e in parte della penisola indocinese. Le prime forme coltivate di Oryza glaberrima, invece, sembrano essere comparse nel delta del Niger e nei pressi della costa della Guinea.
Dalla sua probabile terra di origine il riso, verso il 2000 a.C., si diffuse verso sud – est raggiungendo l’Indonesia, e in particolare l’isola di Giava, come attestato da documenti risalenti almeno all’anno 1000 a.C.. In seguito questo cereale raggiunse anche lo Sri Lanka dove furono realizzati grandi serbatoi per raccogliere l’acqua necessaria alla sua coltivazione. La sua diffusione verso oriente fu invece molto più tarda; Corea e Giappone conobbero la sua coltivazione solo intorno al I secolo a.C. In Giappone, inoltre, rimase un cibo riservato ai soli mercanti e guerrieri fino al 1868 quando la grande riforma voluta dall’Imperatore Meiyi abolì il regime feudale e lo rese disponibile anche al popolo.
L’espansione ad occidente, invece, avvenne durante l’impero persiano tramite il quale il riso raggiunse la Mesopotamia e, in seguito, la Siria e l’Egitto, aiutato, in quest’ultimo caso, dalle piene del Nilo che da sempre hanno retto l’agricoltura egiziana.
Alessandro Magno scoprì il riso in India e lo importò in Grecia dove venne coltivato ma rimase però confinato all’interno dei confini ellenici. La diffusione del riso nel bacino del Mediterraneo è dovuta agli Arabi che lo diffusero prima in nord Africa e poi, attraverso Gibilterra in Spagna meridionale e in Europa.
Il riso in Italia
Nella Roma antica il riso era conosciuto ma non coltivato e il suo utilizzo si limitava all’ambito medico.
Il mondo arabo, al contrario, oltre averne diffuso la coltivazione ne estese anche l’uso alimentare: Ibn al-‘Awwam, importantissimo agronomo arabo del XII secolo, scrive che “il modo migliore per cucinare il riso è con burro, olio, grasso e latte dolce e ricco, come il latte di pecora”.
Nel secolo successivo iniziano a comparire le prime prove documentali dell’utilizzo del riso nella gastronomia “italiana”: il “Libro delle spese di Casa Savoia” riporta l’acquisto a Vercelli di riso al fine di realizzare dolci per la Corte. A Milano, ancora nel 1336, il riso era un cibo molto costoso tanto da spingere il locale tribunale di provvisione a porre il tetto di 12 imperiali per una libbra di questo cereale; come riferimento si tenga conto che negli stessi anni il miele era venduto a otto imperiali alla libbra.
Furono gli Sforza, ed in particolare il duca Galeazzo Maria nel 1475, a iniziare le prove di coltivazione del riso, o meglio del “risone nostrale” l’unica varietà al tempo coltivata in “Italia”, nel milanese “perché coltivabile anche in terreni acquitrinosi”. Nel frattempo il riso si era diffuso nella gastronomia della nostra Penisola: in un ricettario anonimo toscano scritto tra la fine XIV e l’inizio del XV leggiamo la ricetta del biancomangiare per varie occasioni così come di seguito riportata: “De’ blanmangieri. Togli petti di galline, cotti; e posti sopra una taola falli sfilare più sottili che puoi. Intanto lava il riso e sciugalo, e fanne farina e cernila con setaccio o stamigna; poi distempera la detta farina del riso con latte di capra o di pecora o d’amandole; e metti a bollire in una pentola ben lavata e netta; e quando comincia a bollire mettivi dentro i detti petti sfilati con zuccaro bianco e lardo bianco fritto; e guardalo dal fumo, e fallo bullire temperatamente senza impeto di fuoco, sì che sia ispesso, come suole essere il riso. E quando ti menestrarai, mettivi suso zuccaro trito o pesto, e lardo fritto. Se tu vuoli, puoilo fare col riso intero da per sé, apparicchiato e ordinato col latte di capra, a modo oltramontano; e, quando tu il dai, mettivi su amandole soffritte nel lardo, e zenzovo bianco tagliato.
Altramente di Quaresima. Togli amandole monde e sciutte con tovaglia; e pestale fortemente quanto puoi, non mettendovi acqua: poi con un panno lino premile quanto puoi, e l’olio che n’esce mettilo in uno vaso: poi togli le guscie, ovvero cortecce rimaste, e distemperale con l’acqua fredda, e colale con la stamigna o sedaccio; e con quello latte distempera la farina del grano del riso, com’è detto, e metti a bullire come detto è: e metti su zuccaro colla polpa del pesce, di luccio, ranocchi, o di altro pesce che abbia la polpa bianca e diffilata come petto di galline: e quando menestrarai, mettivi su zuccaro et amandole, e mangia. Puoi anche fare del bianco di porri, lessati in acqua: diffilali e distemperali con la farina predetta, come di sopra.
Altramente con riso. Togli il riso e lavalo forte; e lavato fa’ bullire: cavalo e ponilo sul taglieri a freddare; poi rimettilo a cocere, e mettivi su latte di pecora e fa bullire competentemente; e mentre bolle mettivi i polli truncati, e mettivi su lardo fritto fresco e zuccaro. E quando farai le minestre, mettevi su zuccaro e spezie abbastanza, con lardo fritto”. Nella Venezia del’300, un altro anonimo scalco ci propone, nel“Libro per cuoco”, una ricetta simile al porridge a base di riso, latte di mandorle e zucchero, detto rixo in bona manera.
È necessario attendere il 1468 durante la signoria De’ Medici perché compaiano le prime risaie “moderne” grazie all’impegno di un certo Leonardo Colto de’ Colti. Pochi anni dopo, nel 1475, vi sono documenti che attestano la realizzazione in Pianura Padana di opere di bonifica e canalizzazione finalizzate all’utilizzo dell’acqua delle paludi per la risicoltura.
La figura a cui più di tutti deve la moderna risicoltura è quella del Gesuita Padre Calleri che, nel 1839 importando illegalmente i semi di 43 varietà asiatiche di riso dalle Filippine, rese possibile la selezione delle moderne varietà di riso, incrociando il preesistente “risone nostrale” con dette varietà.
Arrivati ormai all’unità dì’Italia, non possiamo non citare la figura di Cavour che incentivò la coltivazione del riso in provincia di Vercelli rendendo quel territorio uno dei massimi produttori attuali di riso nel nostro Paese. In seguito, nel 1908, fu fondata la Stazione Sperimentale di Risicoltura per merito delle “Associazioni fra gli agricoltori di Novara e Vercelli e l’Associazione d’irrigazione dell’Agro all’Ovest del Sesia”; nel 1970 nasce a Mortara il moderno centro per il riso
Ai nostri giorni Pavia può essere considerata, insieme a Vercelli, la “capitale del riso”; infatti, grazie ai suoi 80.000 ettari coltivati a risaia, Pavia è la provincia con la maggior percentuale di coltivazione a riso in Italia rispetto all’estensione del proprio territorio.