San Ponzo è una piccola frazione in sponda sinistra della Staffora, un piccolo borgo fuori dal tempo dove la vita mantiene i ritmi e i valori che per secoli hanno guidato le genti dell’Appennino.
Entriamo nella corte dell’Azienda di Lino in un pomeriggio di inizio ottobre ancora stranamente caldo e, dopo averlo cercato inutilmente in stalla, decidiamo di bussare alla sua porta. Veniamo invitati a entrare in una stanza piacevolmente fresca dove Lino e sua moglie ci accolgono con il sorriso interrogativo di chi, solitamente, non riceve molte visite dai forestieri soprattutto durante la settimana. Iniziamo a raccontare chi siamo, cos’è il “Ghiottone pavese” e i motivi che ci hanno condotti a casa loro. L’atmosfera si fa rapidamente informale e Lino, soddisfatto di raccontare la sua vita (credo sia più giusto parlare di vita che di lavoro) inizia a parlare tradendo con l’accento la sua origine ligure: «ho iniziato allevando frisone, ma il mercato del latte ha i problemi che ben si conoscono e quindi mi dovevo inventare qualcosa di diverso, non per arricchirmi bensì per poter vivere coltivando la terra».
Dopo averci offerto un caffé ricomincia a raccontare: «Ho trovato i primi capi di Varzese nel piacentino e in alta Val Staffora. È una razza che non produce tantissimo, al massimo 30 q di latte all’anno, ma è molto digeribile e il formaggio ottenuto è diverso dagli altri» L’Azienda, infatti, lavoro il proprio latte producendo una caciotta, il Montagnino, secondo quanto appreso dagli anziani del paese. Lino alleva anche capre e pecore per cui il suo formaggio è prodotto, a seconda delle disponibilità, con latte sia bovino sia ovi-caprino oppure con il solo latte delle Varzesi. Il formaggio ottenuto da solo latte vaccino, intero e crudo, si presenta di forma cilindrica con diametro di circa 20 cm e scalzo convesso di circa 3 cm. La crosta è parzialmente fiorita e la pasta, semicotta e semidura, mostra un’occhiatura molto piccola e diffusa con la presenza di qualche raro occhio più grande. Al naso predomina il profumo del burro cotto con note di nocciola tostata. In bocca risulta poco solubile, di buona sapidità e lieve piccantezza. Per via retronasale si conferma l’aroma di burro cotto.
La famiglia Verardo produce anche carne di alta qualità infatti, come ci spiega Lino con un non celato orgoglio, «i miei vitelli mangiano solo il latte delle loro madri e da adulti saranno alimentati solo con il mio fieno. Inoltre, manze e vacche asciutte d’estate vanno al pascolo in un mio alpeggio».
L’entusiasmo, si sa, si trasmette facilmente e, infatti, anche il figlio, pur se ancora molto giovane, sta seguendo le orme paterne puntando molto sul recupero di altre razze a rischio di estinzione quali vacca Cabannina, Mora romagnola, capra Vallesana, pecora Roaschina e delle Langhe, gallina dorata livornese, gallina padovana, coniglio grigio di Carmagnola: il meglio del patrimonio zootecnico autoctono italiano. Alcune di queste razze, infatti sono diventate dei Presidi di Slow food: vacca Cabannina e Varzese, razza suina Mora romagnola, coniglio Grigio di Carmagnola, gallina padovana.
Vacca Cabannina
Nel cuore ligure di Lino questa razza, originaria della piana di Cabanne nel comune di Rezzoaglio in Val d’Aveto (GE), occupa ovviamente un posto speciale. Questa razza è riconoscibile dal manto castano scuro, a volte bruno chiaro, con sfumature intermedie. Una riga mulina molto chiara (color crema) caratterizza la linea dorsale, con sfumature rossicce; sono bovini di piccola statura: i maschi misurano al garrese 125 cm e le femmine 118 cm. Il peso medio è di circa 400 kg. La produzione media annuale di latte è di circa 26 q. La cabannina, così come le razze del gruppo Varzese – Ottonese – Tortonese, sono state selezionate per sfruttare al meglio i pascoli poveri dell’Appennino. All’inizio della stagione di pascolo i bovini sono condotti nelle aree più impervie, mentre le zone più a valle vengono affienate; in seguito saranno pascolati i ricacci, ottenendo così di effettuare un unico taglio annuo con conseguente notevole risparmio di manodopera. Attualmente sono in allevamento circa 300 capi di questa razza quasi tutti iscritti all’Albo.
Mora romagnola
La Mora romagnola è una razza di suini di taglia media, robusta e rustica. Il mantello è nero focato con setole lunghe e robuste a punta divisa e rossiccia. Caratteristica peculiare sono le setole particolarmente robuste in corrispondenza di una linea dorsale, detta sparta. Il colore delle setole è rosso ciliegia nei piccoli e diventa nero a partire dalla fine dallo svezzamento. Gli animali adulti presentano l’apice delle setole nuovamente rosso; alla maturità, cioè ad un’età di circa 18 – 20 mesi, raggiungono un peso di circa 250 – 300Kg. La Mora Romagnola è da sempre molto apprezzata per la produzione di carni sapide, morbide ma compatte, ricche di grasso particolarmente adatte per la produzione di salumi di pregio.
Il ‘900 vide la quasi completa scomparsa di questa razza sostituita da maiali bianchi più produttivi, come i “Large white”. Nel 1918 la popolazione di suini di razza Mora Romagnola in Italia ammontava a 335.000 capi; nel 1949 la consistenza era già calata a 22.000 e nei primi anni Novanta rimanevano solo 12 individui conservati miracolosamente da Mario Lazzari, un anziano allevatore di Faenza. Attualmente la consistenza è di circa 450 capi iscritti al registro anagrafico.
Coniglio Grigio di Carmagnola
Questa rara razza di coniglio si è originata da una popolazione locale di conigli comuni a mantello grigio, molto diffusa nelle aziende piemontesi alla fine degli anni cinquanta del Novecento; attualmente non è noto in numero di individui puri presente negli allevamenti piemontesi: presso il Centro di Allevamento del Dipartimento di Scienze Zootecniche della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino sono presenti 70 femmine e 10 maschi, fondamentali per il recupero di questa razza. Si riconosce in virtù della pelliccia folta e soffice costituita da pelo di media lunghezza di colore grigio, più chiaro nella regione ventrale; è presente una macchia triangolare più chiara sulla nuca.
Il coniglio Grigio di Carmagnola si differenzia innanzi tutto per l’ottima resa: la massa muscolare è, infatti, superiore a quella di altre razze. Le carni sono fini, tenere, sapide, particolarmente bianche e per niente stoppose. La tradizione voleva queste carni insostituibili per la preparazione di alcuni piatti tipici tra i quali si ricorda il coniglio all’Arneis.
Questo coniglio, dalla salute assai delicata e la pelle molto sottile, non è adatto all’allevamento in gabbie, ma deve vivere a terra all’interno di recinti con presenza di porzioni inerbite e ricoveri dalle intemperie.
Gallina padovana
La gallina padovana è nota con certezza per la provincia di Padova almeno a partire dal 1600 ma si ritiene probabile la sua presenza già nel secolo XIV. Nel ‘300, infatti, il padovano marchese Giacomo Dondi dall’Orologio, durante una visita in Polonia, ne avrebbe acquistato alcuni individui a scopo ornamentale per il parco della propria villa. È importante ricordare che nei dintorni di Padova erano allevate anche altre razze quali Padovana comune, con il piumaggio dorato, la Bianca e la Pesante.
La vera gallina padovana si riconosce per la presenza sul capo di un ciuffo di penne lunghe e lanceolate che si aprono a corolla e le piovono sugli occhi nonché di una lunga barba e dei favoriti che scendono lungo le guance; può essere nera, bianca, dorata, camosciata o argentata.
L’inizio del declino di questa razza data ai primi decenni del XVIII secolo; in seguito la situazione si fa ancora più grave e, all’inizio del ‘900, erano presenti solo alcune migliaia di capi. La crisi ha il suo apice negli anni ‘60 del secolo scorso quando le Padovane scompaiono quasi del tutto, sopravvivendo solamente in pochi allevamenti amatoriali e presso l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente “San Benedetto da Norcia” di Padova. Attualmente, a partire dai pochi sopravvissuti, è in corso un progetto di recupero fondato soprattutto sull’elevata qualità delle sue carni che ne fanno una razza commercialmente assai pregiata.
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